“Hai visto questa serie? Hai ascoltato questo album? Hai letto questo libro?”
Alzi la mano chi non si è sentito almeno una volta escluso, quasi giudicato, per essersi perso il fenomeno social-audiovisivo del momento.
Tranquilli, non siete i soli.
La FOMO è sempre nell’aria. Considerando l’incredibile impatto di questa paura sociale, sarebbe più appropriato, seppur provocatorio, dire che la Fear to Missing Out è l’intera Atmosfera che nutre le diete mediali di tutti noi.
Ma quanti sono i contenuti ritenuti imperdibili, a tal punto da innescare questo meccanismo psico-sociale? Considerando l’immenso oceano di contenuti in cui navighiamo, la risposta potrebbe apparire meno scontata del previsto: ogni ora su Instagram vengono pubblicati quasi 3,5 milioni di post, Netflix ha in catalogo più di 7.500 titoli, su Spotify è possibile ascoltare all’incirca 80 mln di brani e podcast.
Perché ogni anno trasformiamo Sanremo in evento nazionale? Perché serie TV come Stranger Things diventano trend topic in tutte le chat e i social media? Perché in definitiva la mano invisibile di internet ci porta a mettere play agli stessi contenuti? Di sicuro la qualità e la creatività giocano un ruolo importante, ma subentrano anche logiche algoritmiche e sociali ben precise che influiscono sulle scelte di ognuno di noi, come feedback loop e filter bubble.
Cerchiamo di capire meglio le dinamiche dei prodotti multimediali.
Ti interessa approfondire questo argomento e scoprire gli effetti di queste dinamiche nella content strategy dei brand? Sei nel posto giusto!
Metti in pausa la FOMO, prendi un respiro dalla serie TV che stai guardando e continua a leggere questo articolo blog.
Feedback Loop – Fidati, l’hanno visto tutti.
Andrea Girolami, in un articolo dedicato, definisce la nostra epoca come l’Era della Monocultura a causa di questa convergenza iperbolica verso i medesimi prodotti culturali e multimediali.
L’autore coglie con le mani nel sacco uno dei colpevoli di questa omologazione dilagante: il feedback loop.
Anche se potremmo descrivere questo fenomeno come “fidati, l’hanno visto tutti” effect, il feedback loop spiega la tendenza a scegliere un contenuto sulla base dei feedback esterni, innescando un meccanismo di reiterazione dei feedback, per l’appunto un loop.
Perché questo avviene? Ogni qualvolta iniziamo un processo decisionale relativo alla scelta del prodotto multimediale da vedere o con cui interagire, sosteniamo dei costi:
- Costo di ricerca: tempo e denaro necessari per individuare il prodotto che più ci interessa.
- Costo di opportunità: benefici e risorse a cui rinunciamo per aver scelto un prodotto rispetto ad un altro.
Avete presente le ore passate davanti al catalogo di Netflix nell’attesa che qualche titolo interessante balzi davanti ai nostri occhi? Questo è un chiaro esempio di un processo decisionale “costoso”.
Più sono alti i costi, più è rilevante il feedback loop.
Quando i costi si innalzano, abbiamo bisogno di euristiche valide: scorciatoie che ci facilitano la scelta, aiutandoci a prendere decisioni non solo più rapide, ma anche gratificanti.
Così iniziamo a valutare le azioni e le opinioni di chi ci circonda. I feedback si sommano tra loro e determinano prima una cascata informativa, poi una cascata reputazionale: inizialmente consideriamo le scelte degli altri come indicatore di qualità, successivamente ci conformiamo.
Andrea Girolami afferma “su internet chi vince prende tutto”.
Questo perché la somma dei feedback loop crea una curva estremamente polarizzata.
A fronte di una “coda” sempre più lunga, composta dai tantissimi contenuti fruiti da un numero esiguo di utenti e spettatori, vi è una “testa” dove si concentra l’attenzione di tutti su pochi, anzi pochissimi prodotti multimediali.
Si crea così un grafico ripido, un’onda alta, destinata a crescere, contenuto dopo contenuto.
Chiedilo all’algoritmo.
Riprendendo la domanda iniziale: perché mettiamo play allo stesso contenuto?
Chiedilo all’algoritmo!
Gli algoritmi sono un megafono super tecnologico ed efficace per il feedback loop.
Ogni nostra attività online è un’orma e ogni orma è un dato: un like ad un post che ci ha strappato un sorriso, un commento sotto quel contenuto tanto in linea con i nostri interessi, una condivisione di un blog che ci è piaciuto particolarmente (saremmo se questo articolo fosse un esempio).
I social media, così come i motori di ricerca, utilizzano questi dati per valutare i contenuti e premiare quelli che “funzionano” di più. In che modo? Rendendoli virali e distribuendoli ad un pubblico più ampio.
Così il feedback loop si dilaga a macchia d’olio.
Citando Kyle Chayka, viviamo in un mondo filtrato (Filterworld), in cui è il feed a costruire il pubblico, dove gli algoritmi hanno appiattito la cultura.
Un mondo a bolle.
I nostri interessi non contano più?
Non propriamente, seppur la concentrazione dei contenuti sia un fenomeno predominante, internet è un luogo costruito dagli algoritmi per indicizzare i contenuti e fornire un’esperienza online migliore all’utente, in linea con i propri interessi.
L’ estrema indicizzazione dei contenuti, da un lato assicura un’esperienza online migliore all’utente, dall’altro ci “chiude in una bolla”. Questo termine si riferisce al concetto di filter bubble, definito da Eli Pariser “l’ecosistema personalizzato dell’informazione creato dagli algoritmi”.
Google, Instagram, Facebook, Linkedin etc. sono dei veri e propri filtri, che scelgono, sulla base dei nostri interessi, cosa vedere. Ogni bolla è una cerchia iper-personalizzata costruita apposta per noi, dove viviamo nell’illusione che tutti condividono le nostre stesse passioni.
WARNING: MARKETING ADDICTED – Content Strategy a prova di onde e bolle.
Se sei arrivato fino a qui e non ti sei fatto intimidire dal disclaimer probabilmente desideri capire come un brand content si comporta in questo mondo filtrato mosso dai feedback loop.
La concentrazione dei contenuti fruiti analizzata in questo articolo rappresenta un problema tanto per i produttori cinematografici quanto per i brand che desiderano comunicare sui social e aprire uno spazio di dialogo con gli utenti con content strategy creative e in linea con la propria identità.
I brand content devono farsi strada in questo turbinio di prodotti multimediali e la strada è in salita.
Cosa fare? WBC è qui per te.
Surfare sull’onda.
Surfare sulla cresta dell’onda dei feedback loop e raggiungere l’olimpo dei contenuti, raggiungendo più persone possibile è una sfida che solo i surfisti con più risorse possono vincere.
Un contenuto brand non potrà mai competere con i colossi dell’intrattenimento, però può sfruttare l’onda e cavalcare il successo di ciò che è in tendenza.
È il real time marketing: individuare il trend del momento ed inserirsi nei discorsi online che gravitano attorno a quello specifico argomento con contenuti creativi, spesso ironici, orientati all’engagement.
Soffiare nella bolla.
La bolla per un marketer non è nient’altro che il luogo dove incontrare il proprio target.
L’obiettivo è entrare in questa bolla e soffiarci dentro: creare contenuti utili, ingaggianti favorendo la condivisione, aumentando la reputazione del brand fino a rompere il reticolo di sapone della bolla e raggiungere un pubblico più ampio.
Il mio (data) Tesoro.
Se il feedback loop è così importante, lo sono altrettanto i dati attraverso cui i digital strategist riescono a capire l’andamento di un contenuto.
Raccogliere i feedback significa individuare i KPI più funzionali e monitorare costantemente al fine di ponderare e nel caso aggiustare la mira di ogni contenuto per migliorare le performance.
Super Hero Blog.
Tutti abbiamo un supereroe del cuore, per noi di WBC, il nostro eroe preferito è un contenuto in grado di vincere la concorrenza e scalare la montagna del web.
Se hai letto questo articolo e ti è piaciuto, probabilmente avrà dei poteri anche lui.